Secondo un rapporto del 31 maggio e pubblicato da Bitter Winter, una rivista online con sede in Italia che si occupa di diritti umani e religiosi in Cina, le autorità cinesi hanno chiuso 48 chiese nella provincia sud-orientale del Jiangxy.
Si dice che i fatti si siano verificati tra il 18 e il 30 aprile nella contea di Yugan, che ha il 10% di protestanti, membri della chiesa ‘Three-self Church‘, ufficialmente riconosciuta dal governo. Molte chiese hanno ricevuto l’ordine di rimuovere le croci sopra il loro edificio, mentre 48 luoghi di culto sono stati chiusi o addirittura demoliti.
A quanto pare, a causa dell’elevato numero di credenti, la contea è diventata uno degli obiettivi chiave per la persecuzione da parte delle autorità cinesi.
Il rapporto include la testimonianza di un membro della chiesa, la cui identità è protetta, che ha riferito la brutalità con cui il personale governativo della città di Shengen si sia scagliato nel rimuovere le croci e tutti gli ornamenti religiosi: «Sia che distruggono una chiesa o una croce, tutti hanno paura di sfidarli. Se protesti, ti accusano di combattere il Partito Comunista e il Governo centrale».
Inoltre, altri testimoni hanno esposto un altro problema, ovvero quello della violazione delle abitazioni personali che, sotto assedio dalle autorità locali, vengono private di ogni simbolo che richiami la cristianità, anche con la violenza. I cristiani ‘ribelli’, quindi, rischiano la reclusione.
Queste azioni sono avvenute in un contesto di facilitazione del contenimento della Cina e quindi non hanno alcun legame con le misure sanitarie a causa del Covid-19. Pare, quindi, che questi attacchi siano diretti alla libertà di culto, volte a colpire l’intera comunità cristiana.
Il rapporto conferma le preoccupazioni dei cristiani di Hong Kong che temono il disegno di legge di sicurezza presentato dal governo cinese venerdì 22 maggio, che consentirebbe maggiori interferenze cinesi su tutta la penisola.