I dati sono allarmanti. I leader che ricordano le vittime di Colombo non hanno il coraggio di definirle cristiane.
Sono i nostri Fratelli nella fede. Incarnano i nostri valori e le radici della nostra civiltà. Ma sono anche la comunità religiosa più perseguitata nel mondo.
Eppure ce ne freghiamo. E prima di noi se ne fregano i rappresentanti di quella sinistra cultura del politicamente corretto che ha divorato l’Europa e sta contagiando un Vaticano sempre più incline a guardare ai Cristiani come ai propri figli minori. Eppure statistiche e medie mensili sono tremende. Ogni mese 345 Cristiani vengono uccisi per ragioni di fede, 105 chiese o edifici cristiani sono bruciati o attaccati, 219 credenti finiscono sotto processo o in galera per aver professato la fede nel Vangelo. Le inquietanti cifre, diffuse da Open Doors l’organizzazione americana che ogni anno certifica la condizione dei Cristiani nei paesi più ostili, sono il termometro della nostra ignavia. Le scopriamo solo quando i nostri fratelli nella fede vengono dilaniati dalle bombe nello Sri Lanka, vengono bruciati vivi in Nigeria ed India o fuggono dalle mattanze islamiste in Iraq e Siria. Certo coloro che per primi dovrebbero ricordarsene non sembrano assai propensi a farlo. Capita qui in Italia dove i migranti islamici sono il vero grande cruccio di un Vaticano raramente pronto a prendere le difese dei cristiani di Siria. È capitato in Birmania dove – durante la visita di Francesco – si è rischiato l’incidente diplomatico nel nome dei Rohingya musulmani, ma non si è spesa mezza parola per le minoranze cristiane oppresse dei Karen e dei Kachin.
Capita nuovamente con i cristiani dello Sri Lanka trucidati dai jihadisti e perseguitati dagli estremisti buddhisti, ma ignorati, in passato, dalla Santa Sede. Eppure le persecuzioni dei cristiani sono la grande tragedia dell’epoca moderna. Rappresentano sia in termini quantitativi che qualitativi una delle più grandi ingiustizie e prevaricazioni di questo secolo. I numeri e le statistiche lo dicono con chiarezza. Ed è triste che fra le più ignorate, vi siano quelle di un’autorevole istituzione del Vaticano come l’Aiuto alla chiesa che soffre (Acs). Nei suoi rapporti Acs rivela che almeno 300 milioni di cristiani, cioè 1 su 7 dei nostri fratelli, vivono in paesi dove basta dirsi cristiani per subire violenza o finire in galera.
E ancora peggiori sono i numeri raccolti tra l’1 novembre 2017 e il 31 ottobre 2018 da Watch List 2019, il rapporto annuale di Open Doors. In quei 12 mesi 4136 cristiani sono stati uccisi per ragioni legate alla loro religione, 2625 sono stati sbattuti in galera senza alcun processo e 1266 chiese sono state distrutte da violenze anti- cristiani. Ma il culmine dell’ipocrisia si nasconde nei twitter con cui Barack Obama, Hillary Clinton e Nathalie Loiseau, vice ministro per gli affari europei di Macron, ricordano la strage nello Sri Lanka. Per Obama e Hillary, le vittime non sono «cristiani» ma «Easter worshippers» ovvero «celebranti della Pasqua». Per la Loiseau semplicemente non esistono. Nel nome del politicamente corretto la parola Cristiani diventa tabù. Le vittime trucidate dentro le chiese mentre pregavano per la Resurrezione di Cristo diventano esseri senza identità, fedeli senza un nome.
Se poi bisogna identificare i responsabili della mattanza la vaghezza diventa ancora più assoluta. I probabili assassini islamici si trasformano in non meglio identificati «estremisti religiosi» senza nome e senza fede precisa. Eppure il rapporto di Open Doors parla chiaro. «In almeno sette dei dieci paesi in testa alla classifica – scrive Watch List – la causa primaria della persecuzione e l’oppressione islamica. Questo significa che per milioni di Cristiani la fede in Gesù può avere conseguenze assai dolorose… In quei paesi i Cristiani possono essere trattati come cittadini di seconda categoria, venir discriminati nel lavoro o subire attacchi e violenze».