Sono una presenza costante per le strade di Dakar e delle principali città del Senegal, impossibile da ignorare. Normalmente scalzi, con indosso magliette di seconda mano di un paio di taglie più grandi importate dall’Occidente e ormai macere, al pari della loro pelle, distrutta da anni di graffi e malattie. Al braccio un secchiello di concentrato di pomodoro ormai vuoto, con un solo obiettivo per la giornata: elemosinare il più possibile, e riportare al proprio maestro l’ammontare di cibo e denaro richiesto. E se questo non viene raggiunto, le punizioni possono essere severe. La leva sfruttata è quella della zakat, l’obbligo religioso di purificazione dalle proprie ricchezze prescritto nella sura 2.43 del Corano, Al Baqarah, ed è uno dei cinque pilastri fondamentali dell’Islam. In altre parole, ogni buon musulmano deve riservare una certa quantità del proprio reddito all’elemosina per i poveri.
È la vita dei talibé, bambini tra i 4 e i 16 anni che in Senegal vengono affidati dalle proprie famiglie, spesso poverissime, agli insegnamenti di un marabout, un maestro coranico, perché se ne prenda cura e insegni loro i precetti della religione islamica. Le scuole dove molti di essi vivono, le daara, sono spesso dei veri e propri incubi igienico-sanitari, dove altrettanto spesso l’educazione lascia spazio alla memorizzazione meccanica del Corano e alla paura delle violenze del maestro.
Le violenze di solito scattano per mancanze nella memorizzazione del Corano, o anche semplicemente per non aver raggiunto la quota giornaliera di cibo e denaro richiesta dal marabout. Il principio è quello della condivisione tra studenti e maestri di quanto raccolto in giornata, ma questo è interamente vero solo per quanto riguarda il cibo. Spesso infatti una grande percentuale del denaro viene trattenuta dai maestri, che lo usano per migliorare il proprio stile di vita senza curarsi delle condizioni dei propri scolari.
Secondo l’organizzazione Human Rights Watch, il numero di talibé in giro a mendicare per le strade più trafficate del Senegal si aggirerebbe tra i 50mila e i 100mila bambini. Un numero che tuttavia risente della scarsa collaborazione dei maestri coranici e delle famiglie stesse: queste spesso infatti non hanno notizie dei propri figli a partire dal momento in cui li affidano ai marabout, i quali a volte non hanno alle spalle alcun tipo di studio religioso, e pertanto non hanno alcun interesse a rendere nota l’esistenza della propria “scuola”, che sarebbe quindi illegale.
“Non lo so, non capisco perché i genitori continuino a mandare i propri bambini qui” dice scuotendo la testa Elhadji, un volontario dell’organizzazione locale Maison de la Gare, che si occupa di dare assistenza agli studenti mendicanti della città di Saint Louis, nel nord del Senegal. Tra le loro attività, un monitoraggio delle daara della città, di cui proprio Elhadji si prende cura. Una delle scuole che visitiamo è in condizioni spaventose. È un cortile a cielo aperto che funge da recinto e scuola per i più di 60 bambini all’interno, in cui il fortissimo odore acido dell’urina e la presenza degli insetti sono presenze costanti danno una misura dello stato del luogo. In un angolo degli zaini impolverati, dono di qualche Ong occidentale, e delle copie del Corano che nessuno di loro è però in grado di leggere. Il marabout è assente, mentre il suo sostituto, uno studente più anziano, dorme in un angolo su un materasso logoro, sotto l’unica zanzariera presente. All’arrivo di Elhadji tutti i bambini si fiondano intorno a lui, mentre apre la propria borsa estraendo il kit di pronto soccorso: praticamente tutti loro hanno delle piaghe da scabbia sulla pelle. Uno di loro ha le ginocchia completamente distrutte dai parassiti, e deve essere tenuto fermo dagli altri suoi coetanei per permettere ad Elhadji di curarlo. “Forse c’è un caso di malaria” osserva Elhadji, “ma non possiamo portare via il bambino senza il permesso del marabout” spiega. L’unica è lasciarlo lì, sperando la sua salute regga fino al ritorno del maestro, che dovrebbe avvenire in qualche giorno.
Le violenze e l’incuria dei maestri nei confronti degli studenti a loro affidati sono la causa di molte delle fughe dei bambini dalle scuole. E per rendersene conto è sufficiente fare un giro per la città al calar del sole. Riusciamo a trovarne una decina dopo soli cinque minuti dall’inizio della nostra ricerca, mentre dormono sotto le reti da pesca nel porto. Insieme a loro un cane e delle capre, mentre dall’altro lato della strada le luci di una sala da thé, tra quattro pannelli di compensato. Tra loro Mohamed, un bambino di circa 12 anni proveniente da Kaolack, a 300 km di distanza, fuggito dalle violenze del proprio marabout. Indossa ancora il suo vestito della festa, e un orologio giocattolo ormai non più funzionante. Non possiede null’altro. “Ho paura a tornare” racconta, “se torno mio padre mi gonfierà di botte”, spiega. Ha vissuto per strada per mesi ormai, e si guadagna da vivere aiutando a lavare i piatti le donne che al porto fanno il thiebudhienne, il piatto locale a base di riso, pesce e olio di palma, per i pescatori del quartiere di Guet Ndar. “Se vieni con noi, ti porteremo in un centro dove potrai avere un letto, e potremo aiutarti a trovare la tua famiglia. O te ne troveremo un’altra” prova a spiegargli Boubacar, un assistente sociale che si occupa di monitorare la situazione di questi bambini di strada. “Non è semplice convincerli” racconta Boubacar, “la sfiducia è tanta. Sono bambini in gamba, sanno cavarsela meglio di te e me. Dopo anni di violenze nelle daara, e mesi per strada, sono convinti non vi sia nessun altro posto per loro”, continua. Dopo diverse decine di minuti Mohamed si lascia convincere ad essere portato al centro di assistenza per minori, ma non è finita qui. “Proveremo a rintracciare la famiglia, vedere se viene riaccolto. Ma non funziona sempre: per molte famiglie un figlio affidato ad un marabout è una bocca in meno da sfamare” spiega, “non sono sempre contenti di vederli tornare. Spesso nemmeno credono loro quando raccontano delle violenze subite”.
“Il problema è sociale. E non verrà risolto in fretta” analizza Issa Kouyaté, direttore e fondatore dell’organizzazione Maison de la Gare. Da anni offre supporto ed assistenza sanitaria e legale a tutti i talibé della città che dovessero averne bisogno, insieme a corsi di formazione per reinserirsi nella società.
Per le sue azioni nel 2016 è stato insignito del titolo di “Eroe” da parte del Dipartimento di Stato statunitense. Lo incontriamo nel cortile della sua organizzazione, in tenuta da lavoro. A poca distanza decine di bambini di 8-10 anni intenti a lavare i propri abiti semidistrutti e a imparare come usare il sapone. Alle sue spalle, i murales dei ragazzi che sono riusciti a reinserirsi in società dopo aver lasciato la propria scuola coranica.
“Qualche mese fa ci sono state quattro morti, qui a Saint Louis”, racconta, affranto. “Due di tetano, e due di malaria”. E tutto dovuto all’incuria dei marabout: i primi non sarebbero stati vaccinati prima della circoncisione rituale, mentre per i secondi il maestro avrebbe ignorato la febbre alta, uno dei primi sintomi della malattia. “Il problema è che non c’è interesse da parte della politica a risolvere la situazione, poiché questa si è mescolata con la religione. Perché c’è molto denaro che arriva dall’estero per finalità di aiuto sociale. Pensate arriverebbe lo stesso, se i bambini fossero ben vestiti e tenuti in buone condizioni?” commenta, sarcastico.
La legge senegalese, sulla carta, proibisce lo sfruttamento dell’elemosina dei minori, mettendo potenzialmente un freno al fenomeno. Diversi marabout infatti continuano imperterriti a sfruttare l’immagine e le elemosine elargite ai più piccoli per mandare avanti la scuola, arricchendosi in alcuni casi. Altri invece hanno convertito le proprie scuole in modo da utilizzare le offerte del quartiere piuttosto che l’elemosina fatta ai bambini. Queste vengono chiamate “daara moderne”, e qui mendicare non è più parte dell’educazione religiosa impartita.