È difficile quantificare il numero preciso. A fornire una stima aggiornata la sola Ong Open Doors, che denuncia una crescente discriminazione. La nazione più pericolosa è la Nigeria, seguita da Repubblica Centrafricana e Sri Lanka.
Sono circa 260 milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo, mentre risultano in calo le uccisioni. Sono cifre da accompagnare però al condizionale, dato che – per dirla con la Federazione internazionale per i diritti dell’uomo – è “praticamente impossibile” rispondere alla domanda su quante siano “le persone che vengono discriminate, perseguitate o addirittura uccise per il loro credo religioso”. Questo anche perché “il numero dei cristiani nei diversi Paesi, oppure il numero dei gruppi che soffrono di persecuzioni tra i cristiani è in molti casi incerto, altamente controverso”, come si legge nel Rapporto annuale sulla persecuzione e discriminazione dei cristiani edito tra gli altri dall’Alleanza evangelica e dall’International Institute for Religious Freedom.
Nondimeno, l’unica istituzione che fornisce una stima aggiornata in merito, compreso il numero delle uccisioni dei cristiani, è l’Ong Open Doors (Porte aperte), che da oltre 25 anni aggiorna la sua World Watch List, l’ultima delle quali è stata presentata recentemente alla Camera dei deputati. È da lì che emerge il numero di 260 milioni di persone, circa un cristiano su otto, e si tratta di una cifra che per quanto da prendere con le molle viene accettata anche da altre realtà autorevoli nel mondo delle associazioni internazionali per i diritti umani e nelle stesse realtà cristiane.
Nella fattispecie, il rapporto di Open Doors analizza i fatti accaduti dal primo novembre 2018 al 31 ottobre 2019 in cento Paesi: secondo questo quadro, sarebbero aumentati di 15 milioni di unità i cristiani il cui livello di discriminazione possa essere classificato “estremo”, “molto alto” oppure solo “alto”. Mentre rimane al primo posto della classifica ‘negativa’ della World Watch List la Corea del Nord, in pole position per il diciottesimo anno consecutivo, con un numero compreso tra i 50 mila e i 70 mila cristiani detenuti nei campi di lavoro a causa della loro fede, a livello globale risulta tuttavia in calo la cifra complessiva dei cristiani uccisi, che scende da 4.305 a 2.983 vittime.
Da questo punto di vista, il Paese più pericoloso continua ad essere la Nigeria, ovviamente a causa degli attacchi delle tribù Fulani e degli islamisti di Boko Haram. Seguono la Repubblica Centrafricana alle prese con un sanguinoso conflitto e lo Sri Lanka, dove nella ‘Pasqua di sangue’ del 2019 morirono oltre 253 persone e furono colpite tre chiese, quattro alberghi di lusso e un complesso residenziale. Tuttavia – come spiega Cristian Nani, direttore di Porte Aperte – “è vero che sono diminuite le morti e le uccisioni, ma è un dato che solitamente cambia a seconda dell’anno e che quindi risulta molto altalenante”.
Quello che rimane costante, come riferisce il sito di Vatican News, è “l’aumento della pressione che riguarda la vita privata e la vita pubblica nelle comunità e nella Chiesa”. Un fenomeno di “grave discriminazione” che riguarda, a detta di Nani, almeno 73 nazioni, “secondo vari parametri che vanno dalle discriminazioni alle violenze, all’esclusione dal lavoro, dalla sanità alle leggi che proibiscono l’esistenza dei cristiani fino a quelle contro le conversioni”.
Undici i Paesi nei quali la persecuzione contro i cristiani viene definita “estrema”. A parte la già citata Corea del Nord, si citano Paesi in costante conflitto come l’Afghanistan, l’Eritrea, il Sudan, la Siria, la Somalia, lo Yemen e la Libia. Non manca il Pakistan, dove – nell’anno della liberazione di Asia Bibi – rimane comunque la legge contro la blasfemia. Appena sotto, ossia nella categoria delle persecuzioni dal livello “molto alto”, compaiono Paesi come Iraq, Cina e Qatar.
La persecuzione dei cristiani in Medio Oriente non è certo una novità: in Siria, dopo nove anni di guerra, la loro presenza è più che dimezzata, crollando da oltre 2 milioni di persone a 744 mila. In Iraq sono diminuiti di quasi il 90%, da un milione e mezzo del 2003 a meno di 200 mila. Anche dopo la sconfitta dell’Isis il rientro per esempio nella piana di Ninive risulta molto difficoltosa per l’assoluta carenza di minime condizioni di sicurezza.
Secondo Open Doors, in tutto il mondo nel corso di quella porzione di 2019 sono quasi 10 mila le chiese che sono state attaccate o chiuse, mentre si stimano in oltre 8.000 i casi di abusi sulle donne a causa della loro fede cristiana. Nella World Watch List di Porte Aperte compaiono quest’anno per la prima volta anche il Burkina Faso e il Camerun, questo a ragione della situazione sempre più conflittuale del Sahel, nel quale sono in attività almeno 27 gruppi jihadisti: un fatto strettamente connessa alla notizia della chiusura di 200 chiese in Burkina Faso.
Come spiegava sempre Nani in occasione della presentazione del rapporto, “uno dei punti essenziali dell’agenda di questi gruppi è proprio l’eliminazione della presenza cristiana. Arrivano nei villaggi del nord dando alle famiglie un ultimatum di tre giorni entro il quale devono sparire dal posto. Se questo non avviene, li uccidono”.