Il caso di Patrick Zaki, di cui tutti parlano in questi giorni, mi permette di accendere i riflettori sull’Egitto.
La storia di Zaki, come si sa, è per fortuna finita bene.
Infatti il trentaduenne studente egiziano, cristiano copto, iscritto all’Università di Bologna, tramite le pressioni esercitate dal governo italiano, ha ottenuto la grazia e il permesso di espatrio dal presidente egiziano Abdel Fatah al-Sisi.
Zaki era stato condannato a 3 anni di carcere per “diffusione di notizie false”.
E quali sarebbero state queste “notizie false”?
In sostanza, Zaki era stato accusato per un articolo, pubblicato online nel 2019, in cui aveva raccontato le violazioni del diritto a danno dei cristiani copti, la più importante minoranza cristiana in Medio Oriente, cui appartiene circa il 15% dei 105 milioni di egiziani.
Nel suo pezzo, Zaki scriveva:
«Non passa un mese per i cristiani in Egitto senza 8 o 10 incidenti dolorosi, dai tentativi di sfollarli nell’alto Egitto, ai rapimenti, alla chiusura di una chiesa o qualcosa che viene fatto saltare in aria, all’uccisione di un cristiano, la conclusione è sempre “disturbo mentale”».
E per dimostrare lo stato di discriminazione e persecuzione in cui la minoranza copta è costretta a vivere, citava alcuni esempi.
Come il fatto che in Egitto un uomo riceve un’eredità pari a quella di due donne, anche nel caso dei cristiani.
O come il rifiuto di accettare testimonianze da parte di chi non è musulmano.
È stato il caso del padre del dottor Mark Estefanos. L’uomo «doveva presentarsi in tribunale per testimoniare di fronte al giudice su un caso riguardante un collega, ma il giudice ha rifiutato la deposizione dell’ingegner Makarios perché cristiano».
«Il problema – continuava Zaki – è stato sollevato per la prima volta nel 2008, quando Ahmed Shafiq, un cittadino musulmano, richiese la testimonianza del suo vicino cristiano, Sami Farag, nel caso di dichiarazione d’eredità 1824/2008, ma il tribunale di Shubra el-Kheima rifiutò la deposizione di un cittadino cristiano adducendo il motivo che la deposizione di un cristiano non era legalmente/religiosamente consentita contro un musulmano. Il tribunale obbligò Shafiq a portare un testimone musulmano».
Insomma, per i cristiani la vita in Egitto non è affatto semplice.
Come dimostra un altro episodio di violenza riportato da Porte Aperte.
Lo scorso 15 maggio, Mohammed, un musulmano radicale si è scagliato contro il collega di lavoro Fady, cristiano.
I due si trovavano in un cantiere. All’improvviso Mohammed, alla guida di un bulldozer, ha schiacciato Fady contro un muro, per poi investirlo ripetutamente per accertarsi che il giovane collega fosse morto.
“Odio i cristiani. L’ho ucciso perché era un cristiano”, ha poi confessato alla polizia.
E sai cosa è successo a Mohammed? È rimasto in prigione solo per 4 giorni! Per poi essere mandato in una clinica psichiatrica.
Come notava Zaki nel suo articolo “incriminato”, l’infermità mentale è l’alibi che molti musulmani radicali in Egitto utilizzano per coprire questo tipo di crimini ed evitare la prigione.