Oggi 17 marzo, in Giappone si celebra la memoria della Beata Vergine di Oura (Nagaski), o Vergine dei Cristiani giapponesi nascosti e riscoperti, kakure kirisutan.
E’ una storia che ha dell’incredibile, e dell’impossibile se non si hanno gli occhi della fede. Eppure, anche per chi oggi sta dubitando, o non crede, o addirittura le vicende legate al coronavirus lo inducono a bestemmiare, la storia dei “kakure kirisutan”, dei “cristiani nascosti giapponesi” è una luce potente che Dio invia su questo tempo così difficile, doloroso e pieno di incognite. Sette generazioni di cristiani (quasi 250 anni) hanno vissuto nella totale clandestinità, senza preti, senza chiese e senza sacramenti all’infuori del Battesimo impartito da responsabili locali che tenevano il calendario liturgico. Due secoli e mezzo nascosti in casa, assediati da un nemico subdolo, feroce, astuto e imprevedibile, forse ancor più temibile del coronavirus. Sette generazioni di cristiani hanno vissuto giorno dopo giorno, ora dopo ora, istante dopo istante nella consapevolezza di poter essere scoperti e giustiziati in qualsiasi momento a causa di qualunque persona. Proprio come sta accadendo ora in tutto il mondo. Eppure hanno continuato a vivere, felici, ma felici davvero, senza perdere la pace e la serietà con cui attendevano alle loro cose, perché radicati in una fede incorruttibile. La fede dei loro padri ricevuta da santi missionari che hanno letteralmente perduto la vita per loro, e poi fortificata nel crogiuolo della persecuzione, della solitudine e del martirio. Fede nata dalle acque insanguinate del fonte battesimale che era fatto di torture le più feroci. Anziani, giovani, bambini, hanno visto Cristo vivo in mezzo a loro, sperimentando in loro la forza inarrestabile della resurrezione.
I cristiani nascosti hanno visto, come Santo Stefano, i Cieli aperti riflessi nei volti dei loro padri e fratelli martiri. Avevano cioè la certezza del destino eterno nell’amore incorruttibile di Dio in Cristo. Hanno visto il Cielo vero negli apostoli che per annunciare loro la Buona Notizia avevano lasciato tutto per infilarsi, con uno zelo inenarrabile, nella totale precarietà di mondi sconosciuti, spesso al prezzo della propria vita. Qualcuno aveva ritenuto la loro vita, la vita di sconosciuti, poveri contadini senza diritti e dignità di un Paese lontano. I cristiani nascosti avevano ricevuto in dono la fede che schiude le porte del Cielo, e per nulla avrebbero voluto perderla. Questo desiderio di pienezza, di amore, di pace, che significa desiderio inesausto di Dio, è stato esaudito dalla Grazia che non li ha mai abbandonati.
Dopo il loro ritrovamento a Nagasaki, il 17 marzo del 1865, essi hanno dovuto affrontare l’ultima e decisiva prova. Vigeva ancora il decreto di persecuzione, e per questo furono incarcerati e molti di loro, tra cui anche bambini, sono stati giustiziati. Due secoli e mezzo nascosti a difendere la fede e, appena vista la luce di un sacerdote e di una Chiesa, eccoli chiamati ad offrirsi sull’altare del martirio, segno indelebile della fede e della presenza di Cristo in loro. La storia di questi cristiani giapponesi parla a noi oggi. Ci annuncia la stessa Grazia, e illumina questo tempo che siamo chiamati a vivere insegnandoci come: approfittando di ogni momento per restare in intimità con Cristo; ad aprire gli occhi e guardare in faccia la realtà, che è la nostra estrema fragilità e precarietà, che in ogni istante potrebbe essere quello buono per incontrarci con Lui, e sperimentare in questo la dolcezza del suo amore che ci perdona e ci libera dalla paura della morte.
Conoscere Cristo infatti è la vita eterna. Siamo in casa, perseguitati da un nemico invisibile, ma Cristo ha vinto la morte, è risorto, è vivo, possiamo avere pace in Lui, che si dona a noi anche se non possiamo partecipare alle liturgie e nutrirci dei sacramenti. Il Signore apre il Cielo anche per noi in questo tempo, e ci dona occhi per contemplarlo, nell’attesa della sua venuta, insegnandoci a prepararci all’incontro con Lui. Perché anche quando (e se) passerà questa pandemia, ci aspetta un altare dove compiere nell’amore l’opera che Dio sta realizzando in noi, rivelare a tutti Colui che ha vinto la morte e ama ogni uomo con un amore infinito, che nessun peccato può allontanare. Può esserci utile questa indicazione dei missionari ai cristiani prima di partire, promettendo loro che sarebbero tornati. Facciamo come loro, ci aiuterà:
“Con un breve orasho (preghiera), lasciando che il tuo cuore si elevi, emettendo un respiro, prendi l’abitudine di offrire spesso il tuo cuore indiviso a Dio. È come aggiungere ciocchi di legno sul fuoco, volta per volta, in modo da non far spegnere il fuoco. Allo stesso modo dovresti prendere a cuore questo esercizio ascetico per non smorzare mai il fuoco della devozione che arde nell’orasho»”.