La testimonianza di padre Joseph Fidelis, sacerdote della diocesi di Maiduguri: «Boko Haram mi ha minacciato, ma non ho lasciato i miei fedeli: meglio morire in chiesa che scappare. Per noi la fede vale più della vita».
Quando nel 2014 Boko Haram lanciò una campagna terroristica su larga scala per trasformare tutto il nord della Nigeria in Califfato, arrivando a conquistare un’area di 30 mila chilometri quadrati grande quanto il Belgio, la diocesi settentrionale di Maiduguri (Borno) era circondata. La Conferenza episcopale nigeriana offrì la possibilità ai sacerdoti nelle aree più a rischio di abbandonare momentaneamente i propri fedeli, ma padre Joseph Fidelis Bature, 38 anni, rifiutò: «Ero già stato minacciato personalmente da Boko Haram, avevo già visto la gente uccisa e smembrata, ma mi sono detto: “Che vergogna sarebbe abbandonare ora la fede e il mio gregge”».
«MEGLIO MORIRE IN CHIESA CHE SCAPPARE»
Così riunì i suoi fedeli in chiesa e disse: «Fino a quando rimarrà qui anche solo uno di voi che desidera la messa, resterò anch’io. Solo quando ve ne sarete andati tutti, chiuderò la chiesa e ritirerò il Santissimo Sacramento. È meglio morire in chiesa per la nostra fede, infatti, che scappare perché la fede è più importante della vita». Non se ne andò nessuno e padre Joseph continuò il suo ministero tra i cristiani perseguitati.
In quei giorni non avrebbero neanche avuto da mangiare se non fossero stati aiutati da Aiuto alla Chiesa che soffre. Ed è proprio durante un incontro organizzato dalla fondazione di diritto pontificio, sabato sera a Bolgare (Bg), che il sacerdote ha raccontato la situazione del paese di 190 milioni di persone (il più popoloso e il più ricco dell’Africa), che a metà febbraio sarà chiamato a eleggere il nuovo capo dello Stato.
IL RITORNO DI BOKO HARAM
Dopo che il presidente Muhammadu Buhari, alla fine del 2015, in seguito a mesi di scontri con l’esercito, ha dichiarato Boko Haram «tecnicamente sconfitto», i jihadisti hanno diminuito notevolmente la loro attività. Ma da alcuni mesi, in seguito all’affiliazione allo Stato islamico, gli attentati sono ricominciati a un ritmo preoccupante e una delle fazioni terroristiche del gruppo, l’Iswap, ha ripreso a coltivare il sogno del Califfato. Emblematico l’attentato di fine dicembre, quando i jihadisti hanno conquistato la città di Baga (poi ripresa dall’esercito). «Mia sorella ha un’amica che vive proprio a Baga», racconta padre Joseph. «”Pregate per noi perché siamo ridotti in schiavitù”, le ha detto al telefono. I terroristi hanno preso il controllo della distribuzione di cibo e acqua. Tutte le donne sono state obbligate a portare il velo e al mattino un uomo di Boko Haram stazionava al pozzo e solo le donne che si dichiaravano musulmane potevano attingere l’acqua».
La diocesi di padre Joseph è l’epicentro dell’azione e della persecuzione di Boko Haram e dopo anni di attentati nel paese vivono ancora in campi profughi due milioni di sfollati, soprattutto donne e bambini. Ma i cristiani non soffrono solo nel nord del paese. Nella fascia centrale, la cosiddetta Middle Belt nigeriana, è in corso una violentissima campagna di attentati da parte di pastori musulmani di etnia Fulani contro gli agricoltori cristiani. Secondo Amnesty International, solo negli ultimi tre anni (e le stime sono riviste al ribasso) sono morte 3.641 persone soprattutto negli stati di Benue, Plateau, Taraba e Kaduna.
«CRISTIANI A RISCHIO ESTINZIONE»
«I Fulani sono armati e spietati nel perseguitarci», dichiara il sacerdote a tempi.it. «Noi cristiani siamo a rischio estinzione ed è in atto un tentativo di islamizzare tutto il paese perché controllare la Nigeria significa espellere i cristiani da tutta l’Africa occidentale».
Padre Joseph si trova a Roma da quattro anni per ragioni di studio ma ha ancora gli incubi a causa delle violenze cui ha assistito: «Ci sono notti in cui non riesco a dormire. Altre volte basta lo scoppio di un palloncino perché io cominci a sudare, temendo si tratti di un attentato kamikaze». A fine anno, al termine degli studi, tornerà in Nigeria ma non ha paura: «Per noi nigeriani la fede vale più di tutto, anche della vita. Sareste stupiti dal vedere quante persone, nonostante le difficoltà, conducono una vita felice. Siamo stati messi a dura prova ma abbiamo sperimentato una forza, un’unità, una ricchezza che solo la fede può dare. Abbiamo visto che Dio c’è davvero e soffre con noi».