La situazione dei cristiani in Pakistan è estremamente pericolosa in questo momento e in molti si aspettano che la cosa peggiori ulteriormente.
Ci torna alla mente il racconto che troviamo nel libro di Daniele, dove tre giovani, Sadrac, Mesac e Abed-Nego, furono pronti ad essere gettati in una fornace ardente pur di non prostrarsi davanti all’idolo d’oro del re di Babilonia. La loro fede era stata forte al punto da affermare: “Il nostro Dio, che noi serviamo, ha il potere di salvarci e ci libererà dal fuoco della fornace ardente e dalla tua mano, o re” (Daniele 3:17).
I cristiani pakistani affrontano ogni giorno la minaccia della “fornace ardente” per la fede in Gesù e la Chiesa trema sotto la costante pressione della persecuzione. In questo Paese seguire Cristo può costare tutto.
A motivo della legge sulla blasfemia i cristiani pakistani rischiano di essere privati di ogni cosa, una sola parola sbagliata potrebbe dare origine ad atti violenti, all’arresto e persino alla morte. Gli attacchi contro i cristiani sono comuni e spesso restano impuniti. La discriminazione, la pressione sociale e gli abusi sono all’ordine del giorno.
Un pastore pakistano ha usato queste parole per descrivere ciò che sta avvenendo:
“La nostra esistenza come cristiani in questo Paese si è trasformata in una lotta per la sopravvivenza. Sperimentiamo ostilità nei nostri confronti, come un rubinetto rotto che gocciola. L’intolleranza erode la nostra stabilità un po’ alla volta, arrivando a distruggere completamente la nostra dignità”.
Mentre ad Aasiya Noreen (Asia Bibi) è impedito di lasciare il paese, Saif ul-Malook, l’avvocato che ha difeso questa cristiana cattolica dall’accusa di blasfemia, è stato costretto a lasciare il Pakistan per proteggersi dalle minacce di morte. Ai media internazionali ha dichiarato che non sussistono le condizioni per contestare il verdetto dei giudici e revisionare il caso, come richiesto dalla petizione lanciata nei giorni scorsi da Mumtaz Qadri, l’imam del villaggio che nel 2009 accusò Asia.
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Aasiya Noreen (Asia Bibi): la sua storia in breve
Moglie e madre, Aasiya si svegliava presto la mattina per preparare la colazione alla famiglia e assicurarsi che le uniformi delle figlie fossero pulite e stirate. In questo modo cercava di evitare loro la derisione da parte degli altri studenti, essendo lei e la sua famiglia considerati cristiani di bassa casta.
Una volta mandate a scuola le ragazze, Aasiya si recava al pozzo per attingere l’acqua. Dal momento in cui lasciava la porta di casa a quando giungeva al pozzo, camminando attraverso i campi, racconta che sentiva le altre donne bisbigliare e sparlare al suo passaggio, mentre lei continuava per la sua strada cercando di non incrociare i loro sguardi.
Giunta al pozzo spesso affrontava ancora insulti e derisioni. Issai Choori la chiamavano, che significa donna cristiana spazzina di bassa casta, “Non venire qui a prendere l’acqua, tu la contamini e ci rendi impossibile l’utilizzo del pozzo!”. Giorno dopo giorno, Aasiya, chiedeva a Dio la forza per non cedere a quelle provocazioni, cercando di fare del suo meglio per prendersi cura del marito e delle figlie.
Arrivò la stagione del raccolto e Aasiya andò, come molte altre donne del suo villaggio, a cercare lavoro nei campi. Questo le avrebbe permesso guadagnare qualche soldo in più e di avere il grano sufficiente per i mesi successivi. Mentre si dirigeva verso la campagna iniziò nuovamente a ricevere insulti e commenti provocatori sulla sua fede cristiana.
“Sei una donna spazzina e non appartieni a questo villaggio”, le dicevano. Erano insulti che fino a quel momento Aasiya aveva gestito con forza ma quel giorno accade qualcosa. Un pastore della zona ci ha riferito che accadde ciò che tutti i cristiani della zona si raccomandano di non fare: Aasiya menzionò il profeta dell’islam cedendo alle provocazioni: “Il mio Gesù ha dato la Sua vita per me e mi ha salvata dal peccato. Che cosa ha fatto per te il tuo profeta?”, disse a quanto pare.
A motivo di questa frase, dal 19 giugno 2009, Aasiya è stata ritenuta una criminale davanti alla legge del Pakistan e obbligata alla reclusione per tutti questi anni in attesa del processo. L’accusa? Blasfemia contro il profeta Maometto.