Nel mondo quasi 300 milioni di cristiani – uno su sette – vive in un Paese di persecuzione e proprio i cristiani continuano ad essere il gruppo religioso più sottoposto a violenze, detenzioni, violazioni di diritti umani. Lo denuncia la XIV edizione del Rapporto sulla libertà religiosa elaborato dalla Fondazione Vaticana Aiuto alla Chiesa che Soffre e presentato all’ ambasciata d’Italia presso la Santa Sede alla presenza del presidente dell’organismo, cardinale Mauro Piacenza.
Dal nazionalismo aggressivo e ostile all’ultra-nazionalismo che ritiene le minoranze confessionali una minaccia per lo Stato: sono queste le radici delle persecuzioni che si verificano soprattutto in Asia.
In India, riferisce lo studio, tra il 2016 e il 2017 gli attacchi anticristiani, principalmente da parte di gruppi estremisti indù, sono quasi raddoppiati, raggiungendo quota 736 (contro i 358 del 2016). Le minoranze sono “una minaccia per l’unità del Paese”, ha di recente dichiarato un membro del Parlamento nazionale.
In Cina l’ultra-nazionalismo si manifesta invece come “generale ostilità dello Stato nei confronti di tutte le fedi”. Di qui le misure restrittive assunte dal regime del presidente Xi Jinping tra cui la proibizione della vendita on line della Bibbia. Tra il 2014 e il 2016 distrutte o danneggiate tra le 1.500 e le 1.700 chiese. Grave minaccia al “culto personale” della dinastia Kim e del regime.
Sono percepiti così i gruppi di fede nella Corea del Nord, Paese che nega la libertà religiosa e nel quale si stima migliaia di cristiani siano detenuti in campi di prigionia. In Pakistan gli estremisti determinati a trasformare il Paese in uno Stato islamico si oppongono fermamente alle modifiche alla controversa legge sulla blasfemia, che minaccia in particolar modo le minoranze.
Il rapporto e’ stato presentato contestualmente nelle 23 sedi di Acs in tutto il mondo. Nel periodo analizzato dal report – giugno 2016/giugno 2018 – si riscontra un aumento delle violazioni della libertà religiosa in molti Stati.
In totale sono 38 i Paesi (28 dei quali islamici) identificati come teatro di “gravi o estreme violazioni”. Tra questi, 21 (ben 16 islamici) vengono classificati come Paesi di persecuzione: Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen.
Sono invece luoghi di discriminazione gli altri 17 (12 sono islamici): Algeria, Azerbaigian, Bhutan, Brunei, Egitto, Federazione Russa, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Laos, Maldive, Mauritania, Qatar, Tagikistan, Turchia, Ucraina e Vietnam.
La situazione è peggiorata in 17 dei 38 Paesi. Invariata, perchè già gravissima, in Corea del nord, Arabia saudita, Nigeria, Afghanistan ed Eritrea dove la persecuzione “manifesta il suo volto più crudele”, scrivono nell’ introduzione del Rapporto Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente presidente e direttore di Acs-Italia.
In sintesi. Il 61% della popolazione mondiale vive in Paesi in cui non vi è rispetto per la libertà religiosa, nel 9% delle nazioni nel mondo vi è discriminazione, e nell’ 11% degli Stati vi è persecuzione.